Carnival Row 2 recensione serie TV di René Echevarria e Travis Beacham con Cara Delevingne, Orlando Bloom, Arty Froushan, Tamzin Merchant, David Gyasi, Ariyon Bakare e Karla Crome
Fate, fauni, centauri, creature magiche. Una bambina guarda stupita i critch. Due mani, una umana e l’altra con sangue “fatato” che scorre nelle vene, si sfiorano senza toccarsi. Due universi tanto diversi si incontrano nella dilaniata Burgue. Scenario ideale per dare inizio a una guerra.
Quattro anni dopo il suo debutto sulla piattaforma Amazon Prime Video in otto episodi, l’intro di una delle serie TV statunitensi più attese che si era imposta come un fantasy neo-noir a tratti dark thriller ritorna a gran voce. Carnival Row 2 ha sete di sangue, di assassini, di rivoluzione.
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Un odore di rivolta che si annusava nell’aria già alla fine della prima stagione troncata proprio sul più bello, quando i due amanti critch ‒ ricordiamolo, in senso dispregiativo tutte le creature magiche immigrate e rifugiate nella cittadina neo-vittoriana ‒ Vignette Stonemoss (Cara Delevingne) e l’ispettore Rycroft “Philo” Philostrate (Orlando Bloom) e i loro simili erano stati confinati nella Carnival Row con tanto di sottomissione e obbedienza schiavista.
Sul fil rouge di omicidi più efferati, indagini condotte su verità celate, Sparas uccisi dalla violenza degli umani che rientrano in scena per estirpare il ceppo antropico, ostilità più cruente, discriminazione razziale e immigrazione più accentuate rispetto all’intrigante stagione iniziale, i dieci episodi conclusivi eludono il romanticismo, la passione, la storia d’amore, il desiderio di esserci l’uno per l’altra ‒ Cara Delevingne e Orlando Bloom perdono la loro intensa alchimia, non si può dire lo stesso per Tamzin Merchant e David Gyasi nei ruoli di Imogen Spurnrose e Agreus che sul piccolo schermo di amore al miele ne hanno da vendere ‒ per sviscerare il simbolismo bendato dietro la seconda stagione.
Carnival Row 2 fomenta lo scontro “umani versus fae” nella penna di René Echevarria e Travis Beacham. Ma incasellare il tassello dell’interpretazione enigmatica nel puzzle della sua stratificazione complessa: questo è il punto. Creature fatate relegate al loro stato di alienazione nel ghetto della loro esistenza, segregate dal cancello della loro condizione di inferiorità sociale rispetto alla Burgue perbenista che volentieri sfoggia la bella mise e il bon ton dei nobili ricchi che ostentano il loro sapore aulico. E il cancelliere Jonah Breakspear (Arty Froushan) che con l’arma del potere si macchia le mani di sanguinosi delitti per tutta la Row.
I presupposti ci sono tutti per tracciare il profilo sconvolgente di un pezzo di storia inconfessabile: un razzismo nazista pallido, velato, indossato dall’hitleriano Jonah Breakspear amante di teste mozzate; il campo di concentramento ‒ la Row ‒ recintato da mura, filo spinato e crani della razza fatata decapitati e appesi a mo’ di trofeo per rivendicare il diritto di superiorità classista della polizia filonazista che denigra, uccide e si traveste da molestatore seriale (vi ricorda qualcosa?). E lo spielbergiano ispettore Philo che da ambiguo doppiogiochista tenta di salvare quante più vite possibili senza gettar via il suo distintivo.
Carnival Row 2 è la lotta di classe con punte attualizzanti della diversità umiliata e maltrattata contro gli intrighi del potere e la politica corrotta, affidata a un gruppo di ribelli ‒ Il Corvo Nero, di cui fa parte la stessa leader Vignette ‒ che combatte contro i soprusi in nome del suo popolo per la condivisione pacifica con l’altro. Pagandone a caro prezzo le conseguenze. Ma c’è di più. Carnival Row 2 è uno spaccato di storia vera sconcertante, disturbante, impreziosita da colori, effetti speciali a forte impatto visivo e scenari di guerra che mettono i brividi nella loro conturbante morale.
Tuttavia, due aspetti nel suo impianto narrativo sono imprescindibili: una maggiore intesa sentimentale tra Vignette e Philo ‒ partita bene nella prima stagione, fatua nella seconda ‒ avrebbe edulcorato la disputa virulenta tra umani e fatati, e uno script più articolato in una produzione ad alto budget come questa avrebbe enfatizzato ancora di più le differenze e le analogie tra le due compagini. Chissà, magari l’intenzione era un’altra…