The Legend Of Ochi recensione film di Isaiah Saxon con Helena Zengel, Finn Wolfhard, Willem Dafoe e Emily Watson
di Giorgio Maria Aloi
L’adolescente Yuri (Helena Zengel), cresciuta in un remoto villaggio sperduto tra i boschi e le montagne, è stata da sempre istruita a non uscire dopo il tramonto e a temere gli Ochi, misteriose e imponenti creature della foresta. Ma quando entra in contatto con un cucciolo di Ochi smarrito, per riportalo alla sua famiglia, decide di imbarcarsi con lui in un viaggio indimenticabile e sorprendente che le cambierà per sempre la vita.
Isaiah Saxon firma il suo esordio alla regia con un fantasy epico e di grande potenza visiva, trovando un compromesso tra immaginazione e cruda realtà. È evidente il desiderio di omaggiare il cinema degli anni 80 e 90 e il suo approccio registico ricorda molto quello di Spielberg. Il film non è nulla di originale, però il suo stile semplice cattura l’attenzione e racconta un’avventura adatta per le persone di tutte le età. Le similitudini con film come E.T. – L’Extraterreste, Gremlins, I Goonies e anche un pizzico di Casper e La Sirenetta; soprattutto per la mancata comprensione tra la protagonista e suo padre, quest’ultimo accecato dal pregiudizio, dalla paura e dall’eccessiva protezione nei confronti della figlia.
Con un linguaggio semplice ed effetti visivi suggestivi, The Legend Of Ochi parla di tante tematiche importanti come il pregiudizio, l’inclusività, il rapporto tra genitori e figli, la crescita, la formazione, la ricerca della consapevolezza, la ferità dell’abbandono, l’amicizia e il rapporto tra l’uomo e la natura. L’amicizia che si crea tra la protagonista e l’Ochi ispira tenerezza ed è quella che abbatte tutte le barriere, ricordando altri legami iconici tra personaggi provenienti da razze diverse viste nella storia del cinema. E’ stata messa in scena così bene ed è la colonna portante di tutto il film.
Tutte le tematiche citate sono bilanciate, senza risultare mai forzate ed ingombranti. Sono argomenti già sentiti e risentiti, ma ciò che fa la differenza è il modus operandi adottato per la narrazione e il regista esordiente ne ha scelto uno semplice. Dal punto di vista estetico e narrativo, il film sembra uscito proprio dagli anni a cui si ispira, riuscendo anche a strizzare l’occhio ai nostalgici di quell’epoca. Riproporre questi temi con questo stile rende la storia accessibile a un pubblico di tutte le età, parlando sia ai genitori che ai figli attraverso i suoi protagonisti.
Helena Zengel è bravissima ed interpreta una ragazzina che abbandonata dalla madre che non riesce ad andare d’accordo con suo padre. Non conosce la razza degli Ochi ed è incuriosita da essa. Questo la porta ad avvicinarsi ad un cucciolo e il viaggio che intraprende per riportarlo a casa è anche quello di cui aveva bisogno per crescere e scoprire chi è veramente.
Willem Dafoe, invece, interpreta un padre piuttosto severo, ma in realtà è accecato dal pregiudizio e dalla paura, portandolo a scontrarsi con sua figlia. Paradossalmente, questa eccessiva protezione tiene al sicuro sua figlia ma in realtà sono sempre più distanti (ricorda un po’ Re Tritone e Ariel). Ma una volta che parte alla ricerca di sua figlia, capisce che il bene per la ragazza sta nel farla camminare con le sue gambe e lasciarle fare le sue scelte, abbattendo anche la barriera del pregiudizio nei confronti degli Ochi. In tutto questo, Dafoe non smentisce mai la sua eccezionale capacità recitativa e in ogni film che appare, non risulta mai fuori luogo e riesce sempre a lasciare il segno.
Il finale può essere prevedibile, ma fa provare delle belle emozioni e ci si rende conto che il tempo è volato, dopo aver finito di vedere la pellicola. Si può considerare a mani basse, una delle pellicole più sorprendenti dell’anno.