The Last Showgirl di Gia Coppola con Pamela Anderson, Kiernan Shipka, Brenda Song, Dave Bautista e Jamie Lee Curtis
Considerando ciò che ha rappresentato finora sul piano socio-economico, risulta piuttosto complesso separare il cosiddetto modello capitalistico — limitandoci, senza addentrarci in sofismi storici, a quello affermatosi dalla seconda rivoluzione industriale in poi — da quel tanto discusso sistema patriarcale, le cui contraddizioni più evidenti si sono iniziate a cogliere con maggiore chiarezza solo nelle ultime decadi
La settima arte, ancor più degli altri medium, da una parte ha alimentato tale binomio – basti pensare a tutta la retorica della gran parte delle commedie di fine anni novanta/inizio millennio, il cui (in)consapevole esito era quello di indicare la ricerca di un uomo e di una famiglia come unico reale scopo esistenziale per una donna; o anche alle “innocenti” e dolci produzioni Disney del secondo novecento, altrettanto colpevoli di aver descritto un modello di rapporto uomo-donna a dir poco squilibrato come un’utopia da perseguire a tutti i costi. Dall’altra, forte di autori e autrici capaci di estraniarsi da un approccio acritico, si è fatta porta bandiera di una serie di messaggi di emancipazione e di profonda destrutturazione di archetipi a dir poco polverosi.
Nel caso dell’ultima fatica di Gia Coppola, ci troviamo di fronte ad uno di quei prodotti audiovisivi utili alla profonda rilettura di paradigmi da sempre digeriti passivamente dalla società occidentale, le cui conseguenze hanno iniziato a destare l’attenzione di molti(e), alimentando un movimento culturale volto a denunciare apertamente le storture di un sistema che, da qualche anno, preferisce raccontarsi di aver appianato le iniquità che lo caratterizzano (in dimensioni diverse) da sempre.
The Last Showgirl intraprende tale percorso con particolare delicatezza, celando all’interno della sceneggiatura personaggi e relative dinamiche narrative potenti, il cui ruolo, una volta compreso, lascia spazio ad una tesi chiara e vigorosa.
La trama apre allo spettatore una finestra sulla vita di Shelley (Pamela Anderson), ovvero la leggendaria ballerina osé di uno storico show di Las Vegas sull’orlo del fallimento, la cui parabola decadente si prepara a travolgere la vita di una protagonista legata a doppio filo al suo ruolo all’interno dello spettacolo. Che cosa è Shelley senza il suo vestito da star della serata? Come verrà accolta dal mondo esterno una volta spente le luci del palco una volta per tutte?
La pellicola della Coppola, sfruttando un’impalcatura formale cangiante e sempre decisa, gioca con maestria con la dimensione emotiva della protagonista per compiere una riflessione lancinante sulle illusioni e i bisogni generati dalla società occidentale.
Difatti, ancor più che nello splendido The Substance, in The Last Showgirl si respirano a pieni polmoni i gas nocivi di una vita votata al soddisfacimento degli standard imposti dalla società dall’apparenza, anche e soprattutto perché, in questo caso, a sfaccettare il tessuto drammaturgico subentra la dimensione economica.
Emblematica in tal senso la figura interpretata da Dave Bautista (Eddie), grazie alla quale il film si proietta verso vette piuttosto elevate per quanto concerne la qualità della disamina culturale del presente. Le macroscopiche differenze che intercorrono tra la parabola professionale del personaggio di Eddie e quella di Shelley, infatti, sono il nucleo pulsante di una desolante fotografia socio-politica di una modernità in cui l’invecchiamento di una donna e di un uomo sortiscono effetti ben diversi, tanto sul piano squisitamente relazionale, quanto su quello prettamente professionale.