Ritrovarsi a Tokyo recensione film di Guillame Senez con Romain Duris, Judith Chemia e Mei Cirne-Masuki [Anteprima]
Arrivato al suo terzo film, il regista belga Guillame Senez conferma come la paternità sia un tema fondamentale nel suo percorso artistico. In Keeper (2015) vedevamo un padre giovanissimo (un adolescente di 15 anni), mentre in Le nostre battaglie (2018) un uomo doveva destreggiarsi tra le sue lotte contro le ingiustizie e i propri doveri di genitore single.
Ritrovarsi a Tokyo si spinge ancora più in là, proponendoci un padre che non sa dove si trovi la figlia. Jérôme (interpretato da Romain Duris, già protagonista di Le nostre battaglie), è infatti un tassista di origini francesi che non vede la figlia Lily (Mei Cirne-Masuki) da ormai nove anni. Dopo la separazione, la sua ex-compagna ha fatto perdere le loro tracce e le istituzioni giapponesi raramente intervengono in situazioni simili. Un giorno Lily sale casualmente e inconsapevolmente sul taxi del padre, che dovrà ora decidere come comportarsi.
Tema centrale del film è proprio la reazione dei genitori di fronte alla separazione forzata dai propri figli, alla perdita di quella che è una parte di sé (il titolo originale Une part manquante significa proprio “Una parte mancante”). Il tutto viene mostrato tramite il confronto tra Jérôme e Jessica (Judith Chemia), madre che sta rischiando di finire nella sua stessa situazione.
I due personaggi sono, da un lato, simili (entrambi genitori francesi a cui l’ex partner vuole negare la possibilità di vedere il figlio), ma al tempo stesso opposti: Jessica ha ancora la possibilità di evitare di cadere nell’incubo vissuto da Jérôme, che, forte della propria esperienza, si propone come consigliere.
La logica amara di chi ha già affrontato l’ingiustizia si contrappone all’irrazionale emotività di chi la sta scoprendo per la prima volta. Due poli opposti destinati, come spesso accade, a contaminarsi e a scambiarsi nel corso della narrazione.
Senez mette il tutto in scena in modo pacato evitando eccessi di melassa e melodramma, dando vita a una vicenda intima e verosimile. Purtroppo il film nel corso della sua durata sembra rinunciare al paralellismo dei due protagonisti. Infatti dopo una prima parte in cui entrambi i personaggi sono trattati equamente, nell’ultimo atto Jérôme si prende tutta la scena, e la sottotrama di Judith scompare, venendo solo ripresa nel finale per essere sbrigativamente conclusa.
Sebbene la maggiore importanza data a Jérôme fosse intuibile già dal poster (dominato da lui e Lily), non si può fare a meno di chiedersi quale fosse il senso di inserire una coprotagonista apparentemente centrale, per poi relegarla nelle retrovie nel momento di tirare le fila del discorso.
Fortunatamente, ciò che vediamo riesce comunque a suscitare interesse e coinvolgimento emotivo (il climax del rapporto tra Jérôme e Lily è particolarmente riuscito), pur lasciando la sensazione di un film sbilanciato nella trattazione dei suoi personaggi.