Quiz Show recensione film di Robert Redford con Ralph Fiennes, John Turturro, Rob Morrow, Paul Scofield, Christopher McDonald, Hank Azaria e Martin Scorsese
Brillante interprete ma non solo. L’esordio da regista di Robert Redford è, numeri alla mano, dei più clamorosi. Nel 1980 arriva infatti in sala Gente comune, drammone familiare solidissimo con Donald Sutherland, Mary Tyler Moore e Timothy Hutton che nella notte degli Oscar 1981 porta a casa 4 statuette tra cui Miglior film e Miglior regia. Surclassando così il più favorito – e decisamente più iconico – The Elephant Man (1980) e imponendo Redford come nuovo volto registico hollywoodiano “da tenere d’occhio”. Nonostante la partenza lampo però, ci vorranno dieci anni prima di rivedere lampi di genio nel cinema di Redford. È negli anni Novanta infatti, che il cineasta americano realizza due dei suoi migliori film: In mezzo scorre il fiume (1992) e Quiz Show (1994).
Al suo quarto guizzo dietro la macchina da presa, Redford confeziona un’opera di rara intelligenza che ne conferma la duttilità, tanto da riuscire a strappare 4 nomination agli Oscar 1995 accanto a opere come Pulp Fiction (1994); Forrest Gump (1994); e Le ali della libertà (1994). La carriera del Redford regista proseguirà poi con il dramma romantico L’uomo che sussurrava ai cavalli (1998) e con la dinamica golf-buddy de La leggenda di Bagger Vance (2000) che ne ridurrà drasticamente la dimensione autoriale. Questo non fa che accrescere il ruolo di Quiz Show nel suo opus filmico rappresentando, a pieno titolo, l’ultima grande vetta del Redford-autore al pari della sfolgorante partenza negli anni Ottanta.
L’incredibile vicenda alla base del film: lo scandalo Twenty-One
Tra i punti che destano maggior interesse, a proposito di Quiz Show, vi è certamente la tematica trattata. La quarta regia redfordiana racconta infatti dell’indagine compiuta dal Congresso degli Stati Uniti sui brogli relativi allo show Twenty One (1956-1958). Prodotto da NBC e condotto da Jack Barry, il quiz consisteva in una gara tra due concorrenti su domande – in ordine crescente di difficoltà – di cultura generale: chi raggiungeva per primo il punteggio di 21 avrebbe vinto.
Ironia della sorte, all’accademico Charles Van Doren i quiz nemmeno piacevano, solo che pensò potesse essere divertente “provarci”. I produttori di Twenty-One rimasero piacevolmente sorpresi dal suo interesse e lo immaginarono come potenziale sostituto del campione in carica Herb Stempel. E così accadde, Van Doren divenne infatti il nuovo campione per tutto il periodo da gennaio a marzo 1957. Gli indici d’ascolto erano impazziti e il pubblico così in visibilio per lui, che la NBC gli propose un contratto come “corrispondente culturale” per il The Today Show (1952 – in onda).
Tuttavia, nel novembre 1959, Stempel lo denunciò per truffa, rivelandone i brogli orditi assieme allo staff di Twenty-One. Van Doren, per conto suo, si difese così dinanzi alla Commissione indetta dal Congresso:
Io sono stato trascinato, gravemente trascinato, in un inganno. Il fatto che anch’io sia stato coinvolto non può esimermi dall’essere la vittima principale di tale inganno, perché io ne ero il simbolo principale. […] Chiesi al co-produttore Albert Freedman di farmi andare avanti senza trucchi nel gioco a quiz Twenty-One. Egli rispose che ciò era impossibile. Mi disse che non avrei avuto la possibilità di battere Stempel; questi era troppo esperto.
Mi ha anche detto che lo show era solo intrattenimento; e che era una pratica comune quella di dare degli aiuti nei quiz. Tutto ciò rientrava nello show business. Non era vero naturalmente ma forse io ho voluto credergli. […] Sono profondamente dispiaciuto di tutto ciò; credo che nulla sia di più vitale importanza dell’istruzione per la nostra civiltà.
Nel cast figurano Ralph Fiennes, John Turturro, Rob Morrow, Paul Scofield, Christopher McDonald, Hank Azaria, Martin Scorsese; Mira Sorvino, David Paymer, Johann Carlo, Elizabeth Wilson, Griffin Dunne ed Ethan Hawke.
Quiz Show: sinossi
America, anni Cinquanta, impazzano i quiz show. Il più popolare della NBC è Twenty-One, dove il campione in carica Herb Stempel (John Turturro) è poco gradito agli sponsor e a Martin Rittenhome (Martin Scorsese) in particolare. Questi, ebreo originario del Queens, risulta di poco appeal con la sua parlantina. Con il calo degli ascolti, Stempel trova così un accordo con i produttori Dan Enright (David Paymer) e Albert Freedman (Hank Azaria) ed esce di scena.
Al suo posto, il rimpiazzo corrisponde al nome di Charles Van Doren (Ralph Fiennes). Giovane e brillante accademico, figlio del premio Pulitzer Mark (Paul Scofield). Van Doren inizia per gioco, per poi scoprire che è tutto deciso a tavolino. Uomo di grande senso morale, l’accademico tuttavia si lascia “corrompere” da Enright e Freedman. Accetta così di diventare il nuovo campione, pur sapendo in larghissimo anticipo le risposte alle domande: è una truffa, a pieno titolo. Tutto sembra procedere per il meglio finché lo zelante ispettore del Congresso, Dick Goodwin (Rob Morrow), non inizia a indagare. Sarà l’inizio della fine per Twenty-One.
Il Sogno Americano in un quiz da 21 domande: Redford al suo meglio
Il rombo di una Chrysler da 390 cavalli e lo Sputnik sopra le teste; taxi; metro; la NBC, e un malloppo di dollari come montepremi: è l’inizio della stagione dei quiz televisivi il punto focale di Quiz Show. Redford apre infatti il racconto, codificando una moltitudine d’immagini dal montaggio netto con cui farci saggiare il sapore del contesto scenico dell’epoca. Quei gloriosi anni Cinquanta fatti di boom economico; di Corsa allo spazio e di “corse davanti alla televisione”; e profonda trasformazione storico-sociale, di frenesia ed eccitazione per il tubo catodico.
Tanti elementi che il cineasta di Milagro (1988) avvolge attorno a una narrazione dalle molteplici sfaccettature, risultando al contempo saggio antropologico, dramma storico e lezione di puro capitalismo. Su simili solide basi tematico-narrative, Redford dispiega così la forza del racconto meta-televisivo declinandolo in un gioco di potere tra indici d’ascolto e l’edificazione della dimensione eroica del concorrente di quiz.
Tra telefoni che suonano e un delicato inside joke al sapore di Fuori orario (1985) tra Scorsese e Dunne infatti, Quiz Show porta in scena l’underdog Stempel di Turturro e l’accademico Van Doren di Fiennes. Sogni e speranze dei concorrenti di Twenty-One, metodicamente costruite dal mefistofelico Barry di McDonald nel travalicamento del confine tra la conoscenza del singolo e il controllo “di palazzo”. L’America ama i vincenti e sentirsi vincente, specie dopo gli eventi del secondo conflitto bellico. Qualcosa che il cineasta de Leoni per agnelli (2007) ci ricorda lungo tutto lo sviluppo del racconto tra intrighi di palazzo e la necessità di rialzare gli indici d’ascolto.
Gioca così con la dinamica relazionale a distanza tra Stempel e Van Doren. Una rivalità risolta dalla climax governativa, di uomini opposti tra Queens e Manhattan, ma dai simili gloriosi obiettivi per il futuro. Emerge così la profonda anima romantica della narrazione di Quiz Show, traslabile alla generalità: la codifica di un sogno americano per puntata televisiva, che cresce e genera empatia di domanda in domanda. Qualcosa, tuttavia, di cui il cineasta de The Conspirator (2010) ce ne consegna uno rarefatto, o forse semplicemente “in fac-simile“.
La moralità e la presa di coscienza: l’evoluzione di Charles Van Doren
In quella che è un’autentica lezione di storytelling duplice tra narrazione cinematografica e “a tutto campo” a livello meta-televisivo, Quiz Show pone al centro del conflitto il ruolo scenico del Van Doren di un Fiennes in forma smagliante. Schiacciato dal peso dell’intellettualmente autoritario padre Mark di uno Scofield in formato Un uomo per tutte le stagioni (1966), l’agente scenico dell’interprete inglese si presta alla pantomima fraudolenta, agendo così da anti-eroe “con il sorriso” e per scopi benevoli, per la larga parte dello sviluppo del racconto, salvo poi redimersi nella climax governativa.
In tal senso, a fronte di un dispiego dell’intreccio dal ritmo compassato e tutto sommato prevedibile nei suoi turning point, il cineasta de La regola del silenzio (2012) dà vita ad elementi dialogici di grande spessore. Facendo così emergere ora una solida dinamica padre-figlio – topos del cinema redfordiano sin dai tempi di Gente comune – tra citazioni shakespeariane e lezioni morali; ora la dinamica amicale con il Goodwin di Murrow, che sembra attingere a piene mani da quella fraterna del sopracitato In mezzo scorre il fiume.
Redford cita così sé stesso, strumentalizzando lo scandalo Twenty-One per poter declinare il suo cinema e raccontare di padri e figli, uomini e ideali. Cementificandone infatti gli intenti nella più volte citata climax governativa che ne riequilibra lo status etico-caratteriale da “perdente” ma che al contempo tinge d’amarezza il racconto di Quiz Show.
Quiz Show: tra le grandi opere dimenticate degli anni Novanta
È nel finale infatti, che il brillante interprete de La stangata (1973) piazza la zampata con cui arricchire di senso il sottotesto del racconto. Quiz Show infatti, se lungo tutta la sua efficace narrazione fa evolvere lo status di Van Doren da “vincente di talento” a “comune perdente” agli occhi dell’opinione pubblica, lo stesso non può dirsi per le alte sfere. Redford compie infatti un intervento a gamba tesa verso la classe dirigenziale e la corruzione lungo tutto il racconto, per finire con il razionalizzarne gli intenti fraudolenti – perfino legittimandoli; abbattendo così del tutto quei pochi frammenti residui di sogno americano, per farlo collidere verso il naturale stato delle cose della vita.
Un’opera interessante Quiz Show, pur nel suo didascalismo, che acquisisce sempre maggior peso in una chiusa tutt’altro che prevedibile. Consolidando del tutto l’occhio registico pulito del Redford-autore che, ironia della sorte, non riuscirà più a ripetere simili effetti incisivi nei suoi lavori successivi. Resta comunque il rimpianto della mancanza di tempismo, di un’opera che forse in un’annata diversa avrebbe avuto maggior risalto mediatico, ma che nell’offerta filmica del 1994 – tra l’esplosione Pulp di Tarantino e la delicatezza d’intenti di Zemeckis (e molto altro) – ha finito con l’essere uno dei tanti film di contorno.