Havoc recensione film di Gareth Evans con Tom Hardy, Forest Whitaker e Timothy Olyphant [Netflix]
Il nuovo action thriller di Gareth Evans ha una storia tanto travagliata quanto quella dei suoi personaggi. Dopo aver terminato le riprese nell’ottobre 2021 ed essere entrato nella fase di montaggio, il regista di The Raid si rese conto che erano necessarie delle riprese aggiuntive. Far allineare gli impegni di un cast tanto vasto e variegato si rivelò un’impresa quasi impossibile, ma nel 2023 si riuscì a trovare una settimana per radunare tutti i membri. Fu proprio allora che lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori di quell’estate bloccò tutto.
Finalmente, però, l’ultima fatica di una delle voci più interessanti del cinema action attuale è disponibile su Netflix.
Il detective Patrick Walker (Tom Hardy) è sulle tracce di una banda di ladruncoli che ha rubato una partita di droga alla Triade cinese. Fra di essi c’è il figlio di Lawrence Beaumont (Forest Whitaker), un potente tycoon e nuovo candidato a sindaco, capace di riportare a galla il passato poco pulito di Walker se non gli riporterà suo figlio.
Sulle tracce della banda però ci sono anche gli uomini della Triade e Vincent (Timothy Olyphant), che comanda la vecchia squadra di Walker, formata da spietati poliziotti corrotti.
Ci sono due anime, all’interno di Havoc. La prima attinge agli spietati thriller anni ’70 per strutturare una trama da noir metropolitano. L’influenza di Senza un attimo di tregua e di Il braccio violento della legge risuona con la stessa forza con cui le sirene della polizia riecheggiano nelle strade di una città corrotta, violenta e oscura.
È proprio nell’impianto narrativo che il film mostra il fianco, non riuscendo mai a regalare qualcosa di più di una riproposizione di stilemi e cliché noti a chiunque abbia un minimo di familiarità col genere. Abbiamo un poliziotto corrotto ma pur sempre antieroico, la banda di giovani ladri che fanno il passo più lungo della gamba, il politico corrotto che vuole mettere le mani sulla città, gli agenti di polizia che sfruttano i distintivi per coprire i loro crimini… niente di nuovo sotto alla pioggia di una metropoli opprimente, in netto contrasto con la casetta nel bosco che fa da teatro alla sparatoria finale (altro topos classico).
Per fortuna il film dimostra di che pasta è fatto e diventa finalmente memorabile grazie alla sua seconda anima, quella che si rifà ai film d’azione della scuola di Hong Kong. Quando l’indagine crime viene messa da parte e veniamo lanciati all’interno di esuberanti scazzottate e sparatorie acrobatiche, la sensazione è simile a quando, dopo ore di traffico, l’autostrada finalmente si libera e si può schiacciare sull’acceleratore.
Gareth Evans può contare sulla fisicità di Tom Hardy e sulla sua esperienza nel ju jitsu (che l’attore pratica a livello agonistico nazionale), e lo pone al centro di stunt ben orchestrati e d’impatto, sempre ripresi con chiarezza e senza mascherare le carenze del performer con una macchina da presa delirante o trucchi di montaggio. Mettergli contro Michelle Waterson-Gomez (vera campionessa di MMA) dà ulteriore credibilità a degli scontri, che altrimenti risulterebbero troppo artificiali e teatrali.
Le sparatorie poi, che si inseriscono nella lezione del maestro John Woo (fatta di pistole dai proiettili infiniti, acrobazie improbabili e ed esplosioni di sangue), coinvolgono in queste complesse danze di morte anche gli altri attori, che sarebbe improbabile vedere in scontri fisici.
A causa di questa sua natura duplice, Havoc finisce per diventare un film dove i rapporti fra i personaggi e l’intreccio crime sono qualcosa da guardare stringendo i denti per arrivare al prossimo combattimento. La sterile riflessione sui rapporti padre-figlio non è che un riempitivo per le scene collocate fra una sparatoria e l’altra, assistere al tentativo degli attori di conferire un po’ di umanità a uno script piatto e scialbo è un pegno da pagare per godersi qualche minuto di sano, violento, intrattenimento.