30 Notti con il mio Ex recensione film di Guido Chiesa con Edoardo Leo, Micaela Ramazzotti, Gloria Harvey e Claudio Colica [Anteprima]
di Lavinia Colanzi
Il tema della salute mentale ha finalmente iniziato a guadagnare la visibilità che merita. Negli ultimi anni, si è assistito a un crescente interesse verso questo argomento, non più relegato al silenzio o tabù. Sempre più persone scelgono di intraprendere percorsi psicoterapeutici e l’assunzione di psicofarmaci sta perdendo quella stigmatizzazione che per troppo tempo l’ha accompagnata.
Tuttavia, il tema della salute mentale resta ancora complesso e delicato, e spesso viene affrontato in modo superficiale o riduttivo. Nonostante i passi avanti, è infatti ancora difficile affrontare la questione con il giusto rispetto e dignità, senza incorrere nel rischio di banalizzarla.
È proprio in questo delicato equilibrio che 30 notti con il mio ex, il nuovo film di Guido Chiesa, sembra incontrare alcune difficoltà.
Il film, scritto dal regista stesso, in collaborazione con Nicoletta Micheli, è un remake dell’omonimo film argentino del 2022 di Adrian Suar. La storia ruota attorno a Bruno (Edoardo Leo), un uomo che si ritrova praticamente costretto dalla figlia Emma (Gloria Harvey), ad ospitare per un mese la sua ex moglie Terry (Micaela Ramazzotti).
Terry, appena dimessa da una clinica specializzata, soffre di un disturbo mentale e deve affrontare un periodo di convivenza sorvegliata prima di essere reintegrata nella vita quotidiana.
30 notti con il mio ex esplora il periodo in cui i due ex coniugi sono costretti a vivere sotto lo stesso tetto, durante il quale Bruno dovrà confrontarsi con le proprie rigidità emotive e con la difficile relazione con la malattia mentale di Terry.
La salute mentale come tema centrale: un trattamento problematico
Se l’intento è quello di sviluppare, in chiave comica, una riflessione sulla salute mentale, non sempre il risultato sembra fare giustizia alla complessità del tema.
Il film si concentra principalmente sul difficile percorso di Terry, che diventa il fulcro della narrazione, ma questa scelta non permette di esplorare altre dimensioni, forse più funzionali alla struttura della trama, come quella della figlia Emma o dello stesso Bruno. Questi personaggi avrebbero potuto arricchire il racconto e contribuire a una riflessione più articolata sulle dinamiche familiari e psicologiche, trattando temi universali come i traumi emotivi, il bisogno di comprensione reciproca e l’impatto che le relazioni hanno sulle nostre vite. Invece, questi aspetti rimangono in secondo piano.
La focalizzazione esclusiva su Terry finisce per ridurre la malattia mentale a un espediente narrativo, senza esplorarne adeguatamente le sfumature e le implicazioni. La narrazione si concentra eccessivamente su un singolo aspetto, tralasciando il potenziale di una riflessione più ampia sulle relazioni umane e familiari.